venerdì 6 luglio 2018





Capitolo XX

 

(trascrizione a cura di Giovanni Lo Presti, Salvatore Salmeri e Massimo Tricamo)

 

5 novembre 1719

Disertore spagnolo A 5 novembre. Venne un soldato spagnuolo di cavallo fuggito dalle sue truppe, che scorrevano per questa Comarca. Avendosi venduto il cavallo, si procurò il passaggio con barca per Calabria.

 

6 novembre 1719

Trattamento privilegiato nei confronti dei Milazzesi, grazie alla loro fedeltà alla corona, da parte del conte di Mercy 6 novembre. Venne notizia che il signor generale de Mercij ha pratticato nella città di Messina verso tutti gli abitatori di questa [città di Milazzo], di qualunque condizione, con ogni placidezza e civiltà. Anzi, alcuni gentiluomini e nobili di questa hanno stati bene trattati, anteposti a tutta la nobiltà di Messina nell’udienza, con molt’ammirazione delli corteggiani ch’assistevano nel suo palazzo. Protestandosi [Proclamando, ndr] publicamente che riguardava tutti gli melazzesi con quella specialità dovuta, atteso la loro fedeltà, publicandola cossì a tutti l’officiali e comandanti della sua nazione, come a tutti gli nobili messinesi, li quali di continuo stavano al suo corteggio corteggiandolo. Anzi, tutto quello che se li richiedea da questi cittadini volentieri l’assecondava, per quanto si potea stendere. Come pure tutti quelli signori comandanti ed officiali tudeschi, li quali avevano dimorato in questa città, molto complimentavano gli abitatori di questa, restando molto ammirati gli messinesi osservando queste finezze. E forse con alcuna lor invidia vedendosi posposti.

 

7 novembre 1719

Ritorno inaspettato da Messina dell’autorità militare di Milazzo A 7 novembre. Impensatamente retornò da Messina il signor coronello comandante di questa ad hore due di notte. E siccome non si penetrò la sua partenza [E così come non si comprese la ragione della sua partenza, ndr], altretanto nemeno s’ebbe notizia di cosa alcuna.

 

8 novembre 1719

Giungono da Messina due reggimenti imperiali di cavalleria (Roma e Tige) che si accampano sotto il colle di San Rocco. Giunge anche un terzo reggimento di fanteria. Civili costretti ad abbandonare le proprie case per garantire un alloggio ai militari A 8 novembre. Vennero da Messina in questa città due regimenti tudeschi di cavalleria, cioè quello nominato di Roma e l’altro di Tiegge. Fecero il loro quartiero fori le porte, sotto il Monte di San Rocco, nel Purracchito. Inoltre ben tardi comparse altro regimento tudesco nominato di Paraith di fanteria, partito da più giorni innanzi da Messina: s’assignò il quartiero nella città ed in molte parti. E si patì molto dalli cittadini, poiché, nonostante che la città fosse stata destrutta nella maggior parte, pure gli officiali di detto regimento volsero molte case per lor’alloggio. E fu necessario accomodarli con molto rammarico delli abitatori, stanteché realmente non si ritrovavano abitazioni né per lor medemi, né per detti officiali. Non potendosi complire colli sudetti officiali e comandanti, presero l’assonto gli giurati - d’ordine del signor comandante - di ricercar di casa in casa ove puotessero alloggiare. E pure fu necessario accomodarsi tutti, non avendosi riguardo alle strettezze de’ poveri cittadini.

 

9 novembre 1719

Approfittando della confusione creatasi all’interno della cittadella fortificata a causa dei movimenti delle truppe, il prigioniero Domenico Tappia si confonde tra i soldati e riesce ad evadere, eludendo le sentinelle di guardia ed incamminandosi verso Pozzo di Gotto, dove si sarebbe unito alle truppe spagnole 9 novembre. Partirono da questa città tutti quei regimenti tudeschi che si ritrovavano distaccati, conducendosi verso l’armata vicino la città di Messina. Avendo solamente rimasto quelli - così di cavalleria, come di fanteria - venuti pochi giorni innanzi. Pure, nel tumulto [nella confusione, ndr] delle truppe nella condotta [nel trasporto, ndr] delli loro bagagli (parte delli quali si ritrovava nel Regio Castello di questa città, ove risideva il direttore in esso Castello con altri officiali per custodia del medemo), il cennato Don Domenico Tappia, qual si ritrovava prigioniero da più giorni in detto Castello, ebbe tal’ardire ed industria che nella mischia delli soldati che uscivano ed entravano - alcuni introducendo il bagaglio dell’officiali che doveano commorare in detto Castello ed alcuni nell’uscita di molte robbe d’altri officiali che sloggiavano dovendosi partire per l’armata - s’interpose disinvolto e, fingendosi o guardiano della robba che uscia o uno d’essi soldati, o pure conducendo lui stesso alcuna soma o con altro pretesto, nella meschia folla di tante persone liberamente trapassò due sentinelle con molti soldati di guardia in due porte e posti deputati. Anzi, riconosciuto in città e richiesto della sua scarcerazione, attestò essere stato scarcerato dal signor comandante della Piazza. E di più, per simulare la fuga intrapresa, discese per la porta di Santa Maria, per la quale s’ascende e discende nella Cittadella, ritrovandosi l’altra porta nomata dell’Isola da più tempo serrata per l’accidenti della guerra. E s’ammirò che in detta porta di Santa Maria esisteano due sentinelle con molti soldati, l’una dalla parte di sopra in detta cittadella e l’altra nella parte inferiore. E finalmente con più audacia ed intrepidezza seguì il suo camino per la strada diritta, passando pure il palazzo del medemo signor comandante. E trascorso il quartiero nominato delli Spagnuoli, nel quale si ritrovavano, oltre la moltitudine di più truppe, le solite sentinelle, uscì indefesso dalla città per la porta sotto detto quartiero presidiata con le solite sentinelle. E pedestre s’incaminò per la città di Puzzo di Gotto, ove si ritrovava[no] suo padre signor Don Stefano Tappia e la moglie che dovea prendere, figlia d’un saponaro benché con alcune facoltà.

Ove come doppo si disse [lo stesso Tappia, ndr] partì a ritrovar le truppe spagnuole, nelle quali si trattenne. E[p]pure s’ammirò che deluse a Gerolamo Calì, da parte del quale era stato carcerato nelle carceri del Castroreale e doppo in questo Regio Castello (dal quale se ne fuggì) per il furto preteso fatto in casa del detto di Calì, consenziente la sua figlia che ancora pretendea congiungersi in matrimonio col detto di Tappia, e per altri delitti (conforme publicamente s’attestava).

Osservatosi la fuga del detto di Tappia da Natale Sangiorgi, carceriero del detto Regio Castello, fu necessario restar inteso il [darne comunicazione al, ndr] signor comandante. Perloché il Sangiorgi restò s’equestrato in detto Castello, fulminando il detto signor comandante per detta fuga. Ma non avendo questi colpa alcuna, poiché l’avrebbe posto ben serrato al sudetto di Tappia allorché fu condotto in carceri, sapendo la sua sottigliezza ed astuzia, se non avesse avuto l’ordine dal detto signor Don Giovanni Colonna, regio capitano di questa [città], di lasciar nel piano al detto Tappia. Giacché dal signor comandante la causa colla carcerazione del medemo era stata rimessa al Colonna capitano, volea propolarlo al signor comandante per sua discolpa, ma trattenuto dal sudetto signor capitano, questi tanto s’adoprò col detto comandante che fece scarcerare al Sangiorgi carceriero. Anzi rimese più corrieri nella Comarca per farsi arrestare al Tappia, bensì riuscì fallace [illusoria, ndr] la sua pretenzione, evitata dall’astuto Tappia per aversi retirato nelle truppe spagnuole, come s’espresse.

 
Sicilia, 1718-19

 
 
10 novembre 1719

Le truppe spagnole ostacolano i rifornimenti di viveri dai comuni limitrofi e la popolazione milazzese soffre nuovamente la carestia. Dalla Calabria giunge farina, ma è destinata soltanto alle truppe imperiali 10 novembre. Gli Spagnuoli, più ostinati di prima, non contenti d’aver assassinato colla desolazione delle vigne ed alberi fruttiferi tutta la Piana di questa città (con un assedio infruttuoso per più mesi e doppo svergognatamente intrapresa una fuga disonorata), senz’alcun loro profitto, ma solamente col grave danno ed interesse di tutti questi poveri cittadini, di continuo hanno preteso colla loro presenza infestare la medema Piana, facendosi a vedere. Come seguì in questo giorno, per queste parti convicine. Tanto che s’ha tolto dell’intutto il commercio per la Comarca, non avendo quei paesani ardire di scendere in città per vendere le vettovaglie con alcun loro guadagno. Perloché la città si vedea molto esausta con carestia insoffribile.

Da Calabria vennero alcune tartane cariche di farine e paglia per servizio delle truppe tudesche, repostandosi in magazeni deputati per la provianda dell’arme cesaree e cattoliche. E con tutto ciò gli poveri abitanti non si potevano sostenere colla loro vista delli viveri, giacché servivano solamente per dette truppe.

 

11 novembre 1719

La cavalleria imperiale si reca nella Piana per mettere in fuga le truppe spagnole. Ma senza successo 11 novembre. D’ordine del signor comandante della Piazza uscirono in questa Piana alcune truppe tudesche di cavalleria per far fuggire gli Spagnuoli. Ma questi, per aver la loro intelligenza colli paesani della Comarca in queste parti convicine, non si fecero ritrovare, poiché hanno adoprato non da soldati, ma come banditi, non avendo luogo sussistente. E rubbando e fuggendo.

 

12 novembre 1719

Giungono altre truppe imperiali: presenti a Milazzo i reggimenti di fanteria Seckendorff e Bayreuth e quelli di cavalleria Roma e Tige 12 novembre. Vennero in questa città alcune truppe tudesche delli regimenti di fanteria di Sekchendorff e di Paraith al numero di 240. Tanto che in città si ritrovano questi due regimenti intieri di fanteria ed altri due di cavalleria nomati di Roma e Tiegge.

 

13 novembre 1719

L’aristocratico Federico Lucifero invia una tartana in Calabria per rifornire di viveri la città di Milazzo. Al ritorno l’imbarcazione viene però predata da corsari di Palermo fedeli agli Spagnoli che la conducono a Patti, richiedendo un riscatto di 160 onze. Il Lucifero ottiene quindi la collaborazione dei corsari di Lipari, incaricandoli di recuperare l’imbarcazione con tutto il carico. Ma questi ultimi consumano parte della mercanzia, rialzando persino il prezzo del riscatto 13 novembre. Da molto tempo il signor Don Fiderico Lucifero, col permesso da questo signor coronello di Mastarimbergh, comandante, avea inviato una sua tartana nella Calabria per comprare alcuni viveri per servizio di questa città. Guidata detta barca dal padron Giuseppe di Napoli. Ed infatti, essendo nel ritorno, restò la sua imbarcazione predata d’alcuni corsari di Palermo che scorreano questi mari a devozione delli Spagnuoli, sopra il nostro Capo, puochi miglia distanti da esso. E condotta da essi corsari nella città di Patti, qual era sotto il dominio di essi Spagnuoli, si pretese vendersi e la barca e la mercanzia. Onde avuta la notizia, dal detto signor di Lucifero s’adoprò per mezzo d’amici in detta città per recuperare e la barca e la mercadanzia. E pretendevano gli corsari la somma di onze 160. Al che, non consentendo detto signor di Lucifero, sembrandoli molto esorbitante la somma richiesta, ricorse al sudetto signor comandante che si scrivesse a quello di Lipari, affinché s’ordinasse alli corsari di quell’Isola che si conferissero nella marina di Patti e predassero la sudetta barca. Ed infatti tutto ciò si eseguì, conducendo detta barca nella città di Lipari, ove, inviata persona da parte del sudetto signor di Lucifero, [tale persona] ritrovò che quelli corsari, attestando esser sua [loro, ndr] la barca, volevano dal detto di Lucifero onze 180. Il che recava stupore al medemo, poiché puoteva recuperare e la barca e la mercanzia dalli corsari nemici per meno somma, allorché esistea intiera tutta la mercadanzia, la quale doppo fu nella maggior parte consumata dalli corsari di Lipari, specialmente molte botti di vino. Alla fine si devenne all’accordo, non avendosi penetrato la somma sodisfatta. Di più, per aver posto sopra detta barca a Nunzio Mandaliti e Domenico Rizzo per sovrastanti a detta mercadanzia, questi furono condotti prigionieri dalli corsari nella città di Patti, ove, spogliati pure dalle robbe che portavano addosso e posti in carceri, alla fine furono rimessi uno doppo l’altro con qualche composizione, interposti alcuni amici del detto signor di Lucifero nella città di Patti. Avendo venuto il Rizzo a 20 di detto mese e l’altro alcuni giorni doppo.

 

14 novembre 1719

La carestia affligge la popolazione A 14 novembre. Era cossì eccessiva la carestia in questa città, così di pane come di qualsivoglia sorte di vettovaglia, pure d’erbe, che sembrava insoffribile e non si puotea più tollerare. Tanto che gli poveri cittadini erano redotti in molta miseria e quasi disperati.

 

15 novembre 1719

Giunge la notizia dell’arrivo del viceré Pignatelli a Messina 15 novembre. Venne notizia fermata in questa città che in quella di Messina avesse approdato sopra alcune navi l’eccellentissimo signor viceré in questo Regno, il signor Pignatelli, duca di Monteleone, grande di Spagna, cavaliero di molto garbo inviato dall’augustissimo imperadore Carlo Sesto, come Re di questo Regno col nome di Carlo Terzo. Avendo condotto l’eccellentissima signora moglie e figli, con molto equipaggio. Affermandosi che la sua venuta fosse stata sotto il 13 di questo mese di novembre. Pure partirono da questa [città] molte cavallerie che si ritrovavano, conducendosi verso la città di Messina per unirsi con le truppe tudesche.

 

16 novembre 1719

Si ordina ai civili di consegnare tutto il legname in loro possesso allo scopo di ripristinare le coperture dei magazzini siti nel vicolo di S. Giacomo (odierna via Ryolo di Fontanelle) e destinati ad ospitare la cavalleria 16 novembre. Ritrovandosi molte cavallerie in questa città senza quartiero conveniente, stando allo scoverto, ed essendo tempo d’inverno, si gettò bando publico che quei cittadini ch’avessero legname la dovessero approntare per coprirsi alcuni magazeni posti nella vanella di San Giacomo. Li quali nell’assedio antecedente per necessità di legname furono discoperti per ordine del signor generale Vallais. [Ciò] affinché la sudetta cavalleria stasse al coperto. Ed infatti furono forzati gli abitanti in questa [città] consignare tutta quella legname che si ritrovavano.

 

17 novembre 1719

La pace sempre più vicina. Termina la prigionia per i quattro milazzesi recatisi a Patti, dove furono arrestati con l’accusa di spionaggio 17 novembre. Publicamente si propalò in questa città che senz’alcun dubio s’avrebbe concertato la pace tra gli principi cristiani. Del che in generale si stiede con alcun’allegrezza. Poiché colla pace avrebbe nonché [non solo, ndr] questa città, [ma anche] tutto il Regno, respirato, togliendosi dall’angustie e d’afflizioni per tanto tempo sofferti.

In questo giorno vennero da Palermo maestro Domenico Oliva, maestro Saverio Maiorana, Pietro Maiorana e maestro Saverio Cullurà, li quali per molti mesi aveano stato carcerati nel Castellamare di detta città per avere stato presi nella città di Patti, in tempo che [quest’ultima] si ritrovava alla devozione delli Spagnuoli. Poiché, conferitisi con una barchetta in quella città per condurre in questa un Padre Cappuccino loro congionto, credendosi esser la città [di Patti] retornata alla devozione di Sua Maestà Cesarea e Cattolica, conforme dalli suoi Giurati s’avea giurato in questa [città di Milazzo] allorché si publicò il bando dell’indulto, restarono presi (come già si discusse). Raccontarono questi li gravi patimenti sofferti per tutto il tempo della loro carcerazione, somministrandosi solamente mezzo pane di monizione il giorno per ogn’uno di essi ed acqua, senz’altro per loro sostentamento. Come pure che furono scarcerati a contemplazione [su richiesta, ndr] del Patron Giuseppe di Napoli di questa città, il quale molto s’adoprò per la loro liberazione per mezzo di molti signori comandanti ed officiali. Avendo seguito la loro scarcerazione sotto li 8 di detto mese novembre.

 

18 novembre 1719

18 novembre. Continuò l’istessa notizia della pace e che fra breve avrebbe seguito la sospenzione dell’Arme tra l’Imperio e Spagna.

 

19 novembre 1719

Il conte di Mercy conferisce cariche di capitano di giustizia e di capitan d’arme ad alcuni aristocratici milazzesi a titolo di risarcimento per i danni subiti durante l’assedio 19 novembre. Doppo presa la Cittadella di Messina, anzi tempo prima, s’interposero tutti gli nobili melazzesi ricorrendo al signor generale de Mercij, qual dominava nel Regno ed in quelle parti date alla devozione dell’arme cesaree. Colla rappresentazione che per loro sollievo e per risarcirsi dalle gravi spese, danni ed interessi patiti nell’assedio delli Spagnuoli, cossì nelli beni rusticani come urbani, se li facesse la mercede d’alcun posto nel Regno. Al che, per sua bontà e clemenza, detto generale diffuse le sue grazie a favore delli sudetti. Poiché a molti di essi l’elesse per capitani, conferendo la carica di capitano di giustizia della Terra della Forza [d’Agrò, ndr] al signor Don Antonino Tappia, di capitano di giustizia della città di Puzzo di Gotto al signor Don Domenico Lucifero, di capitano di giustizia della città di Santa Lucia al signor Don Antonino Proto ed Abbati, di capitano di giustizia e capitano d’arme della città di Patti al signor Francesco Gionti, di capitano di giustizia e capitano d’arme della Terra di Naso al signor Don Francesco Paulillo, di capitano di giustizia ed arme della città di Noto al signor Don Francesco Scarpaci, di capitano di giustizia e capitan d’arme della Terra di San Marco al signor Don Saverio Lombardo. Delli quali personaggi solamente quello di Proto ed Abbati prese il possesso del suo offizio senza alcuna controversia, come l’altro di Tappia, avendosi conferito susseguentemente al loro governo. E quello di Lucifero molto contrastò con l’abitatori di detta città di Puzzo di Gotto innanzi detto signor generale de Mercij e dell’Eccellentissimo signor viceré, poiché pretendevano non potersi conferire tal carica al sudetto signor di Lucifero per esser contro il privileggio di detta città, ottenuto dal tempo che la loro città s’esentò non esser più casale di questa città [di Milazzo], che fu nel 1636. Ma doppo quei Giurati furono discacciati con alcun loro disastro e da Sua Eccellenza e dal detto signor generale de Mercij, perloché pure esso signor di Lucifero prese la possessione del suo officio. Bensì tutte sudette cariche, distribuite dal sudetto signor generale de Mercij con sue patenti, furono doppo confirmate da Sua Eccellenza con viglietti [biglietti, ndr] di sua segretaria. E tolti li precitati signori di Tappia, Lucifero e Proto, li quali si conferirono liberamente nelle città e terre destinate nel mese di dicembre venturo, l’altri di sopra espressati non hanno possuto partirsi per amministrare le loro cariche nelli luoghi espressi poiché in tutte sudette parti si sta alla devozione delli Spagnuoli. Tanto che sono in questa.

 

Imboscata spagnola, in complicità coi civili di Castroreale, ai danni della cavalleria imperiale. L’ennesimo disertore La notte scorsa molti cavalli spagnuoli fecero alto nella terra di Mazzarrà e nello scaro di Presti Paolo, instradandosi doppo per la fiumara sino agli confini di questo territorio, ove si ritrovavano alcuni cavalli tudeschi usciti da questa [città] per pascolare e far la scoverta per l’attentati del nemico spagnuolo. Ed impensatamente, fatta una imboscata dalli spagnuoli, restarono prigionieri dicisette tudeschi con tutti gli cavalli, presi alcuni nel fuggire, avendosi retirato gli altri nella corsa, con aver uno di questi restato ferito. E nel medemo tempo uno di detti spagnuoli, demostrando di seguire cogli altri alli tudeschi fuggitivi, se [ne] venne in questa città con aversi venduto il cavallo e l’arme. E riferì che gli spagnuoli azzardarono approssimarsi in questo territorio per essere stati chiamati dalli paesani della Comarca, affinché puotessero predare ed assassinare il territorio. E che restarono intesi pure che spesse volte uscivano da questa città alcuni cavalli tudeschi per foraggiare; ed infatti li sortì la preda. Inteso ciò, da questo signor comandante fulminava contro l’abitatori di questa Comarca, specialmente di quelli della città del Castro Reale. Poiché gli Giurati di essa di continuo s’escusavano non puotere scendere in questa città per le molte scorrerie che soffrivano dalli spagnuoli, quando peraltro questi venivano per essere stati chiamati da quelli paesani per la loro devozione all’arme spagnuole.

 

20 novembre 1719

S’iniziano i lavori di ripristino alle coperture dei magazzini destinati ad ospitare la cavalleria imperiale A 20 novembre. Si diede principio a coprirsi gli magazeni nel quartiero di San Giacomo con tavole e legname consegnate dalli cittadini. [Ciò] per trattenersi in detti magazeni li cavalli che si ritrovavano in questa [città], poiché molto pativano stando nello scoperto.

 

21 novembre 1719

Si ordinano gli arresti di Francesco Oliveri di Pozzo di Gotto, il quale tuttavia riesce a fuggire sui tetti delle case dei suoi vicini 21 novembre. S’unirono li spettabili signori giurati di questa [città di Milazzo] per conferirsi nella città di Messina, volendo complire con Sua Eccellenza [il viceré Pignatelli, ndr] per rallegrarsi della sua venuta nel Regno.

Avendosi considerazione da questo signor comandante che Don Francesco Oliveri nella città di Puzzo di Gotto sempre s’ha demostrato parziale delli [favorevole alli, ndr] spagnuoli - anzi con tutto l’indulto promulgato da parte di Sua Maestà Cesarea e Cattolica non comparse in questa città per rendersi obediente all’arme Cesaree (anzi aversi adoprato a favore delli spagnuoli, oltre le gravi estorsioni fatte a questi cittadini con molte composizioni che continuamente esercitava con molta diligenza) - diede ordine [il suddetto comandante] che partissero da questa [città] molte truppe tudesche di cavallo per catturare al sudetto di Oliveri. Li quali, conferitisi in detta città su l’alba colla scorta ed intelligenza di [segue lacuna nella copia, trattasi di nominativo omesso, ndr], calabrese, circondarono tutta la casa del detto d’Oliveri e, doppo, fatta la diligenza, non si puoté ritrovare per aversene fuggito. Bensì quel puoco mobile retrovato fu tutto dissipato da dette truppe.

Si disse che il sudetto di Oliveri fu notiziato [informato, ndr] della condotta di dette truppe per supprenderlo. Perloché il mobile che teneva in casa fu tolto. E con tutto ciò, nonostante la notizia avuta, senza difficoltà sarebbe stato catturato. Poiché si promulgò doppo che, ritrovandosi gli soldati attorno la sua casa, esso stiede per molto tempo denudato con la sola cammisa sotto il tetto, nascosto, da dove caminando sopra li canali delle case convicine si gettò in un luogo fori dell’abitato e se ne fuggì. Con avere stato coperto d’una veste di camera d’un suo amico. Onde gli tudeschi restarono delusi e più chi diede l’ordine secreto per restar prigioniero. Esso d’Oliveri si nascose in luogo non penetrato [rimasto ignoto, ndr] e quello che condusse le soldatesche per seguire la carcerazione, se non con alcun donativo, consolato per aversi adempito la sua infame fellonia. E da quel tempo in poi non comparse più il sudetto di Oliveri nella detta sua città, avendosi avuta relazione che s’abbia unito colli spagnuoli che restarono in questa Comarca. Ed alle volte nascostamente refugiato in alcuna chiesa nelle parti convicine per servirsi nell’occorrenze se li puotranno succedere. Per certo che la pena la dovrebbe soffrire chi non puoté tener secreta la commissione avuta, almeno avrebbe servito per esemplare. Poiché colla presa del detto d’Oliveri s’avrebbe tolto un parziale ed affezionato delli spagnuoli. Anzi non dato motivo che colla sua scorta frequentassero gli spagnuoli questo territorio colle scorrerie in disservizio dell’abitanti di questa [città], per essere tutti gli loro beni devastati, assassinati e rubbati. Si può ben affermare che sarà condegna col tempo la pena con chi malamente ha esercitato la colpa.

 

22 novembre 1719

Privilegi concessi ad alcuni aristocratici milazzesi per lo loro fedeltà alla corona imperiale 22 novembre. Venne notizia che Sua Eccellenza [il viceré Pignatelli, ndr] s’avea demostrato con questi cittadini molt’umanissimo, dando audienza publica. Tanto che tutti, retornati in questa città, celebravano la sua clemenza. Anzi molti nobili cittadini e sacerdoti, avendo ricorso alla sudetta Eccellenza Sua con loro memoriali, ottennero decreto di puotersi a loro conto introitare il diritto toccante alla Regia Corte sopra l’estrazione dell’ogli per fori Regno, computandosi prima tarì tre per ogni cafiso, allorché gli dritti entravano per detta Regia Corte; e la clemenza di Sua Eccellenza dispensò da cafisi ventimila a diverse persone di questa [città]. Anzi s’avrebbe dilatato a maggior somma se non fosse stato trattenuto d’alcuni signori ministri regij, così militari come politici, con metterli innanzi gli interessi di Sua Maestà Cesarea e Cattolica. Ed inoltre fu costretto reformare in parte la somma dispensata di detta tratta d’ogli. E tutte quelle persone che conseguirono questa mercede, fra breve [dopo poco, ndr] se l’esitarono a grana cinquantacinque ed al meno prezzo a grana cinquanta. Per certo che la munificenza di Sua Eccellenza molto si dilatò a favore di questi cittadini, dichiarando publicamente aver avuto ordine espresso da Sua Maestà Cesarea e Cattolica di riguardare con occhio benigno gli interessi di questa città, atteso la sua sperimentata fedeltà, avendo speciale considerazione di demostrarsi coll’opre differente dell’altre città del Regno. E finalmente s’ottenne da Sua Eccellenza l’esenzione delle gabelle e dogane pretese nella città di Messina con un decreto della Real Segretaria.

 

23 novembre 1719

Navigli carichi di cavalleria e fanteria imperiale navigano da Messina verso Palermo per mettere in fuga gli Spagnoli 23 novembre. Uscirono da Messina molte navi con tartane ed altre imbarcazioni e, passato il Capo di Raisicolmo, si istradarono per Palermo. Si disse esser tutte cariche di cavalleria ed infanteria tudesca per discacciare gli spagnuoli. Pure s’ebbe notizia che le truppe spagnuole che si ritrovavano in questa Comarca s’avessero partito per Palermo per tenerla alla devozione di Spagna, avendo rimasto poche truppe in detta Comarca.

 

26 novembre 1719

Unità di cavalleria spagnola si trasferiscono a Pozzo di Gotto 26 novembre. Venne notizia che si conferirono nella città di Puzzo [di Gotto] molti spagnuoli a cavallo. E da quei paesani furono ricevuti o per genio o per necessità: si credette piuttosto per inclinazione, la qual sempre hanno avuto all’arme spagnuole.

 

27 novembre 1719

27 novembre. Sopra molte tartane vennero dalla città di Lipari in questa molti soldati tudeschi. S’asserì che s’uniranno cogli altri nell’armata.

 

29 novembre 1719

Ancora disertori. Le truppe spagnole trasferite in gran parte a Palermo, eccezion fatta per una porzione rimasta a Novara di Sicilia e dintorni 29 novembre. Vennero in questa città due desertori spagnuoli di cavallo fuggiti da quelle truppe che remasero in questa Comarca. Ed avendosi venduto gli cavalli e l’arme, avuta la commodità d’imbarco, s’inviarono nella Calabria. Riferirono bensì che, avendo partito gli Spagnuoli per Palermo, restarono alcune truppe di esse nella Comarca con alcuni officiali, retirandosi nella terra della Novara ed altre parti convicine, assassinando a loro voglia. E con tutto ciò si demostrarono gli paesani molto parziali delli spagnuoli, non badando alle loro violenze indiscrete. Contentandosi meglio soffrire [piuttosto] che retornare all’obedienza del legitimo dominante.

 

30 novembre 1719

Le simpatie del viceré imperiale per i Milazzesi 30 novembre. Da più tempo, come in questo giorno e cossì sussequentemente, venivano relazioni da Messina che Sua Eccellenza [il viceré, ndr] assecondava le brame di questi abitatori in tutto quello che desideravano, dispensando le grazie a prof[l]uvio per tutto quello che puotea. Dichiarandosi che pronto avrebbe stato a donare, ma che si dovevano riguardare gli tempi calamitosi. E non avrebbe faltata [mancata, ndr] l’occasione di dispensare tutto affinché restassero consolati.

 

1 dicembre 1719

Primo decembre. Non si puotea più soffrire in questa città la fame delli poveri abitatori per la carestia d’ogni vittovaglia e viveri, mancando il pane, vino, carni, salumi, oglio, legumi, riso, pasta ed ogn’altra cosa. E quella poca robba che si retrovava era di malissima qualità e condizione e si vendeva a prezzo molto esorbitante. Ed il peggio era che la Comarca era serrata, non puotendo scendere cos’alcuna per timore delli nemici spagnuoli. E benché gli spettabili signori giurati s’avessero ingerito a viva forza di ritrovarsi il pane - con tutto che fosse porta [termine, quest’ultimo, di non certa trascrizione, ndr] serrata, [mentr]e nell’archivio volendo per ogn’ott’onze grana quattro e fetido - sempre ricorreano a questo signor comandante per somministrarli qualche puoco di farina di quella che giornalmente venia da Calabria per le truppe. Al che sovente si compiacea assecondare la volontà di detti signori giurati. Di più questi ricorsero più volte a Sua Eccellenza, per via del signor generale di Mercj, molto affezionato a questa città. E più delle volte pure restarono consolati, parendo bensì secoli l’ore che non appareva pane nelle piazze. Ed invero era insoffribile vedersi le ciurme delli poveri affissi ad una grada [grata, ndr] per aver un pane, con tutto che sovente si dispensasse grana due a testa per ogn’uno il giorno.

 

Mese di dicembre 1719

Due amministratori comunali si recano a Messina in udienza dal viceré Pignatelli, duca di Monteleone, che riserva loro un trattamento privilegiato, promettendo alcuni interventi a favore di Milazzo Mese decembre. Partirono in questo mese li signori Don Francesco Proto de Alarcon e Don Antonino Muscianisi, due delli spettabili giurati di questa, per la città di Messina con il loro equipaggio per allegrarsi con Sua Eccellenza della sua venuta nel Regno. E si disse che questi furono bene trattati da Sua Eccellenza. Anzi, differenziati dall’altra nobiltà ch’assistea al corteggio, con ammirazione ed invidia di tutti. Inoltre conseguirono molte promesse al benefizio di questa città per aver avuto espresso ordine di Sua Maestà Cesarea e Catolica di agevolar questo publico nelle sue richieste. Tanto che retornarono questi consolatissimi.

 

Il milazzese Aloisio D’Amico nominato dal viceré giudice penale a Castroreale Pure [fu consolato] il signor Don Aloisio D’Amico, il quale per molt’anni avea stato al servizio dell’Augustissimo Imperadore nel Regno di Napoli, unitamente colli signori Don Pietro, suo padre, e Don Giovanni e Don Pippo D’Amico, suoi fratelli, con l’onore di capitani d’infanteria e detto Don Pippo di tenente. E dal tempo che s’aveano fuggito da questa città sua [loro, ndr] patria, con pericolo d’esser decapitati dall’officiali spagnuoli ch’allora dominavano nel Regno (come s’ha descritto), il sudetto signor Don Aloisio ottenne da Sua Eccellenza la carica di capitano di giustizia [giudice penale, ndr] della città del Castro Reale. Ed infatti si conferì in questo mese nel suo governo, qual esercita con ogni esemplarità [e] con somm’applauso di tutti quei abitatori, per esser realmente il personaggio di molta bontà.

 

Nicolò Cumbo, anch’egli milazzese, nominato dal viceré sergente maggiore a Patti Inoltre si compiacque Sua Eccellenza eleggere per sargento maggiore della città di Patti, col dispotico di questa Comarca, al signor Don Nicolò Cumbo, quale pure avea stato molt’anni al servizio dell’Imperadore con li sudetti signori D’Amico dal tempo che se ne fuggirono da questa sua [loro, ndr] patria dominando gli Spagnuoli, avendo avuto il posto di capitano d’infanteria, benché doppo avesse stato reformato come tutti li sudetti signori D’Amico suoi congionti. Per certo che il sudetto signor di Cumbo era riguardato da Sua Eccellenza con occhio benigno per aver avuto servitù con detto signor Duca Pignatelli, allorché si ritrovava nelli suoi stati di Monteleone nel Regno di Napoli. Anzi, conseguì commissioni di molta consequenza in servizio di Sua Maestà Cesarea e Catolica, come in appresso si descriverà.

 

Continua la carestia Vennero pure in questo mese da Calabria alcune felughe con alcune botti di vino per venderlo e molt’altre cariche di castagne, e verdi e secche. E per essere la città affamata, priva di qualsivoglia vettovaglia, nell’instante che approdavano le barche nella Marina di subito era venduta tutta la robba. Successivamente si fecero a vedere alcun’altre felughe cariche di pomi venute da Calabria. E di subbito si [segue parola di ardua trascrizione, ndr] a caro prezzo.

 

Le truppe spagnole scorazzano ancora nel Milazzese Non cessavano gli Spagnuoli d’infestare nonché [non solo, ndr] la Comarca, [pure] tutto questo territorio, facendo di continuo molte scorrerie. Tanto che le persone [segue parola di ardua trascrizione, ndr] di questa - per non inciampare in alcun sinistro accidente e non soggiacere alle violenze di detti Spagnuoli, scortati da molti paesani della Comarca dichiarati nemici di questa città - non presumevano uscire nella Piana per osservare gli loro poderi e possessioni. Almeno per restaurarle, per non disperdersi dell’intutto. Anzi, s’osservò che molti nobili di questa città - con tutto che s’avesse tolto l’assedio dalli Spagnuoli, e questi retiratisi sino a questo tempo e per l’avvenire - non ardirono uscir fori le porte per non incontrare cogli Spagnuoli, contentandosi più meglio perder affatto le loro facoltà [piuttosto] di che mettersi ad alcun repentaglio.

 

Alcuni aristocratici finanziano il viaggio sino a Napoli di un’imbarcazione per rifornire di viveri la città Per esser la città con molta carestia s’ingerirono alcuni nobili cittadini - cioè il cavaliere signor Don Mario Cirino, li signori Don Marcello Domenico D’Amico, Giovanni Muscianisi e Dottor Don Antonino suo fratello ed altri - di far un capitale di denari ed inviare persona seria in Napoli per farsi compra di viveri. Ed infatti, noleggiata una tartana messinese col Padron [segue lacuna nella copia, ndr], l’inviarono in detta città, dando la commissione come sopra carico al sacerdote Don Pietro Alosi.

 

Disertori spagnoli riferiscono che le loro truppe si sono trasferite perlopiù a Palermo, nuovo bersaglio delle truppe imperiali Comparirono in questo mese ed in più volte molti soldati spagnuoli cossì di cavallo come pedoni, avendo desertato dalle loro truppe rimaste in questa Comarca verso la Novara e parti convicine. Riferirono che il grosso della lor’armata s’avea partito per la volta di Palermo per tenerla in freno a loro devozione, giaché s’avea avuto la notizia che l’arme di Sua Cesarea e Catolica Maestà s’aveano instradato per quelle parti. E fatta vendita delli loro cavalli ed armi, si dava l’imbarco per Calabria e per Napoli, per dove s’incontrava la commodità.

 

Rifornimenti per le truppe imperiali Non passava giorno che da Calabria non avessero venuto molte tartane cariche di frumenti, farine, fascine, orzi, paglia, biscotti ed altre provisioni di viveri per servizio delle truppe tudesche e loro cavalli. Repostandosi il tutto in magazeni deputati.

 

Sulla gestione dei viveri destinati alle truppe imperiali: il provveditore generale Francesco Maria Di Gregorio a Milazzo Dal principio della guerra, avendosi l’Augustissimo Imperadore ingerito a defensione di questo Regno colla condotta delle sue truppe, così di cavallo come di fanteria, sopra le navi inglesi e molt’altre navi, vascelli, tartane ed altre imbarcazioni venute da Napoli e Calabria, tanto ritrovate in detti regni come d’altre parti, sino di quelle che l’anno scorso erano state nell’Ungaria [Ungheria, ndr] e con impegno molt’esemplare. Come pure, conducendosi le provisioni di viveri e vettovaglie per  tante truppe e cavalleria, con ogni accuratezza s’attese - così dal signor Viceré di Napoli, il signor conte de Daum [Daun, ndr], come dal signor presidente Garoffaro - a farsi sudette provisioni con aversi eletto un commissario generale officiale tudesco per aver cura di dette provisioni. Anzi, si fece elezione d’un provveditore generale col salario condecente - avendo stato il primo il signor Don Francesco Spagnuolo (bensì doppo il signor Don Francesco Maria di Gregorio, tutti italiani) - per aver cura questi nell’amministrazione di tutta la provianda, correndo il tutto a conto della Regia Corte. Con doversi dispensare tutti gli viveri per dette truppe da detti provveditori, col contrasegno ed a polise di detto commissario. Con obligo di liquidarsi il tutto per ogni mese dal provveditore generalissimo di tutte sudette truppe cesaree residente nel Regno di Napoli. Computandosi tutte le spese così di carriaggi di detti viveri sino a magazeni, come di salarij di più guardiani per aver cura di dette provisioni e consegna delle medeme. E spese di farsi il pane di monizione così per gli officiali, come per le soldatesche; ed altre spese necessarie. E per molto tempo continuò detta carica il sudetto signor di Spagnuolo. Quale dismesso, doppo aversi trattenuto più mesi in questa, fu eletto il sudetto signor di Gregorio, continuando tal offizio [e] servendosi di molti notarij per coadiutori tanto per redursi in forma publica la ricevuta di dette vettovaglie, come per la dispensa fatta di detti viveri, sempre a polise del commissario. E sopra ciò s’attendea con ogni vigilanza ed attenzione e per servizio di Sua Maestà Cesarea e Catolica e per il risparmio delle spese. Ma doppo, entrate l’arme tudesche nella città di Messina e presa la Cittadella, anzi, più d’inanzi d’allorché il campo tudesco si conferì vicino quella città, il sudetto di Gregorio - dovendo tener cura a tutto il corpo dell’armata - si partì da questa città con aver sostituito per proveditore in sua vece al notaro Giobattista di Luca, persona molto intelligente. Ed esso si partì per ritrovarsi presente nella provianda per servizio di tutto sudetto campo.

 

In occasione della conquista austriaca di Messina sospeso a Milazzo il servizio postale imperiale che arrecava benefici alla popolazione, oltre che alle truppe: la posta veniva recapitata ogni 8 giorni Inoltre, venute l’arme di Sua Maestà Cesarea e Catolica in questa città, stante l’assedio stretto dalli Spagnuoli, per tutto detto tempo e per l’avvenire, retiratosi le sue truppe in questa città, si diede providenza di correre la posta per Napoli e per Calabria, venendo e retornando ogn’otto giorni. Tenuta detta posta d’officiali tudeschi. Il che era molto profittevole tanto per questi cittadini, come per gli officiali e loro truppe, sapendosi distintamente il seguito in questa città e notizie che correano per tutto il mondo. Bensì, retiratesi le truppe da questa [città] per il campo verso Messina, si tolse questa buona commodità.

 

Con la conquista di Messina, Milazzo perde anche i benefici della grande farmacia destinata alle truppe imperiali Inoltre, avendo venuto le truppe tudesche, s’ebbe molta cura dagli officiali tudeschi che gli poveri infermi soldati fossero governati colla somministrazione di tutti gli medicamenti opportuni. Perloché di subbito venne lo speziale con molti prattici, con avere preparato e disposto una sontuosa aromataria [farmacia, ndr] con tutti li medicamenti necessarij, tenendosi in due stanze ben accomodate, dispensandosi - così per tutte le truppe come per gli officiali - dalli chirurgi d’ogni regimento. Poiché, oltre il medico e chirurgo principali di tutta l’armata, ogni regimento tenea il suo chirurgo. E così si ricevea sodisfazione d’ogni ancor minimo fante, sormontando per ogni mese l’esito [la spesa, ndr] di detti medicamenti alla somma di novecento e mille ducati, anzi più. La qual somma puntualmente si sodisfaceva in Napoli allo speziale generale di dette truppe, bonisate e calculate bensì dal medico generale. Ma, tolto l’Assedio e retirate le truppe tudesche al corpo dell’armata verso Messina, si tolse questa commodità alli poveri ammalati. Con tutto che avessero restato gli chirurgi per l’occorrenze e porzione di detti medicamenti in caso di persona che avea cura di dispensarli. Del che s’ammirò la cura e diligenza di Sua Maestà Cesarea e Catolica, volendo che le sue truppe fossero governate tanto in tempo che stavano attualmente servendolo, come ritrovandosi o con  febre o per altra causa infermi.